I neuroni della lettura

Come impara a leggere il nostro cervello da primate? Esistono metodi di lettura migliori di altri? E poi, utilizziamo le stesse aree corticali quando leggiamo l'italiano, l'arabo o il cinese? Stanislas Dehaene ci mostra come per rispondere a tali domande occorra dar vita a una scienza della lettura del tutto nuova, in grado di combinare quello che le neuroimmagini ci dicono sui circuiti corticali sottesi all'elaborazione di grafemi e fonemi con quello che la psicologia ci insegna sui meccanismi cognitivi legati all'arte del leggere. Veniamo così a sapere che nel corso dell'acquisizione della lettura i nostri circuiti corticali originariamente destinati al riconoscimento degli oggetti si sono "riciclati" per decifrare caratteri dalle più diverse dimensioni e fogge e che questa conversione è stata lenta, parziale e non priva di difficoltà, come mostrano i ripetuti scacchi cui vanno incontro i bambini (e non solo...). Tale scienza della lettura, però, ha un valore non solo teorico, ma anche pratico, in vista soprattutto di una nuova pedagogia capace di introdurre nel variegato mondo della scuola le conquiste più recenti delle neuroscienze.

Un antropologo su Marte


Info per l'aquisto
Il libro di Sacks conferma la ricchezza e le promesse di un approccio che sarebbe riduttivo mettere sotto il solo ombrello della narrativa clinica. Il successo e lo stile di Oliver Sacks non sarebbero infatti comprensibili per intero se trascurassimo di considerare l'interesse crescente nei confronti del "racconto della malattia" che, soprattutto nei paesi anglosassoni, ha dominato la letteratura medico-antropologica o antropologica tout court degli ultimi vent'anni (si è parlato a questo proposito di literary turn e di fascination of narrative). I suoi dettagliati ma al tempo stesso umani resoconti di sindromi e patologie, l'analisi dei loro concreti effetti sulle persone, vengono costruiti attraverso un ascolto attento, che registra sin nei più contraddittori interstizi l'esistenza quotidiana dei suoi pazienti (dei quali è messa in primo piano la illness, insomma, più che la disease). Questo singolare modo di avvicinarsi all'esperienza della sofferenza gli permette di portare alla luce ciò che altrimenti rimarrebbe inespresso o, come più spesso accade, ai margini semplicemente perché considerato "superfluo" secondo i modelli egemoni della razionalità medica. Young ha analizzato proprio in questi termini il contemporaneo potere della biomedicina: nella sua capacità cioè di silenziare altri nomi o cancellare altre conoscenze.
A questa prospettiva l'autore non può d'altronde essere per intero ricondotto. Sacks è cioè un medico, un neurologo estremamente colto e competente che diagnostica, cura, sperimenta insuccessi, e che registra lacrime e speranze dei suoi malati su pagine dove corrono intrecciate alle prime le parole di quella ricerca e di quella pratica clinica di cui non vengono messi in discussione come potrebbero i fondamenti (tranne che per sottolinearne gli schematismi cartesiani o le diffidenze verso ipotesi e approcci, quelli dello stesso Sacks ad esempio, che non ricalchino il corso della "scienza normale"). Nel descrivere questo, nel "dar voce" ai contraddittori vissuti di un pittore che perde la visione dei colori dopo un incidente, di una paziente affetta da autismo che prova a inventare "macchine per abbracciare", di un chirurgo affetto dai tic e da altri sintomi della sindrome di Tourette (sulla quale Nathan ha attirato in anni recenti l'attenzione), Sacks attivamente trasforma il racconto dei suoi interlocutori "unici" (ed è questo un problema che, trascendendo la tradizione dei "casi clinici", si è imposto al centro del dibattito su authorship e testualità). Per lui esistono le malattie, le stesse in ogni luogo e epoca, che solo col tempo verranno riconosciute come tali da una scienza adeguata.

Il suo sguardo e il suo ascolto rimangono allora spesso catturati dentro una luminosa fenomenologia del rapporto, quasi avventuroso, che stringono quei protagonisti solitari che sono il medico e il paziente, mentre non vengono colti con altrettanta attenzione il contesto istituzionale, i rapporti di forza tra i diversi attori, il difficile accesso alle cure sanitarie di minoranze e poveri negli Stati Uniti, e quant'altro in genere converrebbe non più dimenticare quando si esplora l'accidentato territorio della salute e della malattia. Se questo costituisce un limite nella sua opera, rimane indiscusso il pregio di una scrittura che sembra aver realizzato una sorta di prodigio là dove dimostra come l'approccio narrativo alla malattia rappresenti una risorsa decisiva nel costruire una biografia dotata di significato; ma un altro prodigio di sintesi fra voci e linguaggi diversi è realizzato, con la naturalezza di cui gli scrittori anglosassoni danno sempre lezione, a un altro livello: il mind-body problem, il dilemma fra attività volontaria e involontaria, e altre questioni propriamente "epistemologiche" (nel senso che questo termine ha nella cultura statunitense), fanno capolino discreto fra interrogativi diagnostici e vissuti della malattia. Dentro questi sette racconti, che "paradossali" sono però solo se si leggono dal luogo della ragione medica e del suo dispositivo retorico (per il quale "salute" e "malattia" possono essere concepite soltanto come entità antinomiche), spiccano quelle metafore dense e irriducibili, dotate di uno strano potere, che i pazienti speso ci offrono quando parlano delle loro esperienze. In esse, sembra dirci l'autore, si celano le tracce da seguire per comprendere, forse meglio che attraverso ogni altra teoria o esame diagnostico, l'altrui domanda e la complessa condizione di chi sperimenta la rottura di quell'involucro invisibile che è la salute e la normalità. È l'uso di queste stesse metafore che ci permette talora di sostenere il paziente anche laddove l'unica soluzione possibile (ciò che la scienza medica per prima fa fatica ad ammettere) è apprendere a convivere con i limiti che la malattia innalza, cogliendo tutto quanto in lui si dispiega e vive nonostante la malattia.


 

 Un'interessantissima discussione sulla sindrome di Charles Bonnet e lo strano fenomeno delle allucinazioni visive

Le cellule invisibili

Le staminali - tra i temi più controversi della biologia contemporanea -sono cellule in grado di replicarsi indefinitamente e di cambiare aspetto a seconda del contesto e dell'attività svolta in un dato momento: caratteristiche che le rendono assai versatili ma anche, in qualche modo, invisibili all'occhio del ricercatore. Questo libro ripercorre gli studi che hanno portato a individuare la presenza di staminali là dove a lungo la si è ritenuta impossibile: nel cervello, l'elemento più statico e complesso di tutto l'organismo. La storia si dipana come una vera e propria inchiesta poliziesca dalle atmosfere ora fantascientifiche, ora quasi noir: un'indagine ambientata in quei laboratori dove nell'ultimo decennio alcuni ricercatori, tra lo scetticismo della comunità scientifica, hanno dimostrato la genesi di nuove cellule cerebrali durante la vita adulta dell'individuo e inserito così i neuroni nell'universo in continua espansione delle staminali, aprendo prospettive inedite alle neuroscienze. Un libro che, se da un lato restituisce il sapore della ricerca e l'entusiasmo di chi la porta avanti, dall'altro sceglie di attenersi ai fatti e ai risultati, senza allinearsi ai toni gridati di quella divulgazione che assicura a breve cure miracolose: lo sfruttamento terapeutico delle cellule invisibili è una meta quanto mai promettente ma, ammonisce l'autore, richiederà un viaggio ancora lungo e disseminato di incognite.


Intervista a Rizzolatti "I segreti dei neuroni specchio"


So quel che fai


"I neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia"
(Vilayanur S. Ramachandran)
  
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Come riusciamo ad afferrare immediatamente il significato delle azioni degli altri? Come ne comprendiamo intenzioni ed emozioni? Per secoli filosofi e medici dell'anima hanno cercato la risposta. Ma nell'ultimo decennio è la neurofisiologia a offrire la via più promettente. Sono stati individuati dei neuroni (neuroni specchio) dotati di una sorprendente prprietà: si attivano sia quando compiamo una data azione sia quando vediamo che altri la fanno. Questa straordinaria scoperta, i presupposti teorici e le ricerche sperimentali che l'hanno resa possibile vengono per la prima volta affrontati in questo libro. Non si tratta solo di originale esplorazione dei meccanismi neurali che sottendono molti dei nostri comportamenti individuali e sociali, ma di un'innovativa indagnie sull'evoluzione di intelligenza ed emozione, di pensiero e linguaggio. Un'indagine destinata a trasformare il nostro modo di concepire le funzioni della mente e a influenzare psicologia, antropologia, etica ed estetica.

Questo del neuroscienziato Giacomo Rizzolatti e del filosofo Corrado Sinigaglia era certamente un libro da fare. Il volume raccoglie sotto forma di saggio la letteratura specialistica che ha segnato le tappe del lungo percorso di ricerca intorno alla scoperta e all'interpretazione dei neuroni canonici e dei neuroni specchio. Non manca proprio nulla in queste pagine: le numerose schiere di appassionati (non solo di ambito neuroscientifico ma spesso anche filosofico psicologico linguistico o antropologico) troveranno qui tutti gli esperimenti con relativi presupposti teorici risultati e interpretazioni di cui con entusiasmo hanno seguito lo sviluppo nel corso di questi anni; i molti curiosi attratti dai “neuroni dell'empatia” di cui hanno letto sui giornali o sentito durante incontri o presentazioni avranno a disposizione uno strumento esaustivo e chiaro per fare il punto sullo stato dell'arte di queste ricerche che hanno rivoluzionato il nostro modo di intendere l'architettura e il funzionamento del cervello.
L'argomentazione centrale intorno alla quale sono articolati i sette capitoli del libro è che “il cervello che agisce è anche e innanzitutto un cervello che comprende”. Il significato e la portata di questa tesi risiedono nel cuore del meccanismo neurale individuato dai neurofisiologi dell'Università di Parma coordinati da Giacomo Rizzolatti. In una serie di studi condotti nel corso degli ultimi vent'anni i ricercatori hanno scoperto nella corteccia premotoria della scimmia e in seguito anche dell'essere umano l'esistenza di due gruppi di neuroni entrambi attivi durante l'esecuzione di azioni correlate a oggetti: si tratta di gesti semplici e familiari come afferrare qualcosa con la mano o portare del cibo alla bocca. La cosa sorprendente è che questi due gruppi di neuroni premotori si attivano anche in assenza di qualunque esecuzione esplicita dell'azione durante compiti puramente osservativi: i neuroni del primo gruppo rispondono alla visione dell'oggetto cui l'azione potrebbe essere rivolta quelli del secondo all'osservazione di un altro individuo che compie la medesima azione.
Seguendo gli autori possiamo fare l'esempio della tazzina da caffé: i neuroni premotori si attivano mentre ne afferriamo il manico; tuttavia per alcuni di essi l'attivazione è innescata anche dalla semplice osservazione della tazzina posata sul tavolo per altri anche dall'osservazione del nostro vicino che l'afferra per bere il suo caffé. Si tratta quindi in entrambi i casi di neuroni bimodali motori e percettivi insieme la cui attività può essere descritta mediante il medesimo meccanismo di simulazione: durante l'osservazione di un oggetto si attiva uno schema motorio appropriato alle sue caratteristiche (quali forma dimensione e orientamento nello spazio) “come se” l'osservatore entrasse in interazione con esso; allo stesso modo durante l'osservazione di un'azione eseguita da un altro individuo il sistema neurale dell'osservatore si attiva “come se” fosse egli stesso a compiere la medesima azione che osserva. I neuroni del primo gruppo sono stati chiamati “neuroni canonici” perché sin dagli anni trenta si era ipotizzato un coinvolgimento delle aree premotorie nella trasformazione dell'informazione visiva relativa a un oggetto negli atti motori necessari per interagire con esso; quelli del secondo gruppo sono stati chiamati “neuroni specchio” in quanto provocano una reazione speculare nel sistema neurale dell'osservatore in cui ha luogo una simulazione implicita dell'azione osservata.
Alla luce di questo meccanismo di simulazione neurale può essere reinterpretato il ruolo svolto all'interno dell'intero sistema cognitivo dal sistema motorio di solito connesso esclusivamente con la pianificazione e con l'esecuzione delle azioni: i neuroni bimodali individuati nella corteccia premotoria risultano fortemente implicati in processi cognitivi di alto livello in particolare nel riconoscimento percettivo di oggetti e azioni e nella comprensione del loro significato. Viene quindi meno il rigido confine tra processi percettivi cognitivi e motori che ha per anni caratterizzato l'interpretazione dell'architettura cerebrale: percezione comprensione e azione si trovano unificate in un meccanismo unitario dove per l'appunto “il cervello che agisce è anche e innanzitutto un cervello che comprende”. La comprensione per quanto concerne gli oggetti riguarda il loro significato funzionale o affordance; i neuroni canonici consentono una comprensione immediata delle opportunità di interazione che gli oggetti offrono a un soggetto percepiente (nel caso del manico della tazzina da caffé la possibilità di essere afferrato). Per quanto concerne le azioni la comprensione riguarda lo scopo che a esse è sotteso: i neuroni specchio permettono una comprensione immediata delle intenzioni degli altri individui (l'intenzione ad esempio di portare la tazzina alla bocca per bere il caffé) rendendo possibile una previsione del loro comportamento futuro.
Il libro riporta fedelmente i principali esperimenti condotti sulla scimmia e sull'essere umano. Ovviamente le tecniche utilizzate sono molto diverse: mentre nelle scimmie è possibile effettuare una registrazione del singolo neurone tramite l'inserzione intracorticale di elettrodi nei soggetti umani si utilizzano esclusivamente metodi non invasivi di imaging cerebrale come la tomografia a emissione di positroni (pet) o la risonanza magnetica funzionale (fmri) che permettono di visualizzare l'attività di intere aree cerebrali ma non di singole cellule nervose.
Nel quarto capitolo Agire e comprendere vengono descritti due esperimenti centrali per la definizione del ruolo dei neuroni specchio nella comprensione dello scopo sotteso alle azioni. Il primo ha permesso di constatare l'esistenza di un meccanismo specchio non solo in modalità motoria e visiva ma anche uditiva quando la scimmia è al buio e ascolta il rumore prodotto da un'azione: lo stesso neurone “scarica” quando l'animale rompe una nocciolina quando vede qualcuno romperla e quando sente il rumore di qualcuno che la rompe. A prescindere dalla modalità lo stesso neurone si attiva per codificare il concetto astratto di “rompere” che coincide con lo scopo con l'intenzione dell'azione. Il secondo esperimento ha invece permesso di discriminare tra un gesto di afferramento finalizzato a portare il cibo alla bocca o a metterlo in un contenitore: durante l'esecuzione della medesima azione (afferramento) i neuroni specchio si attivano in modo diverso a seconda dello scopo finale dell'azione in particolare dell'intenzione di portare il cibo alla bocca o di spostarlo nel contenitore. Nella stessa direzione sembrano andare alcuni risultati ottenuti con gli esseri umani mediante un esperimento con fmri: è stato possibile riscontrare nei soggetti sperimentali un'attivazione del sistema specchio particolarmente significativa durante l'osservazione non di azioni “pure” ma di azioni inserite nel contesto da cui si poteva evincere in modo chiaro l'intenzione che vi era sottesa. L'insieme di questi esperimenti permette di affermare che “il sistema dei neuroni specchio è in grado di codificare non solo l'atto osservato ma anche l'intenzione con cui esso è compiuto”. In accordo con il paradigma dell'embodied cognition le intenzioni altrui possono essere comprese senza alcuna mediazione riflessiva concettuale o linguistica: si tratta di una comprensione pragmatica “basata unicamente su quella conoscenza motoria dalla quale dipende la nostra stessa capacità di agire”.
Nel sesto capitolo Imitazione e linguaggio sono descritte altre due importanti funzioni attribuite al sistema specchio: una funzione imitativa intesa sia come capacità di replicare gesti già appartenenti al nostro repertorio motorio sia come capacità di apprendere schemi motori nuovi attraverso l'imitazione; una funzione comunicativa che permetterebbe di delineare un possibile scenario sull'origine del linguaggio umano connesso all'evoluzione del sistema specchio.
Al tema della condivisione delle emozioni è invece dedicato l'ultimo capitolo del libro: “Il riconoscimento delle emozioni altrui poggia su un insieme di circuiti neurali che per quanto differenti condividono quella proprietà specchio già riscontrata nel caso della comprensione delle azioni”. è stato possibile studiare sperimentalmente alcune emozioni primarie: i risultati mostrano chiaramente che osservare negli altri una manifestazione di dolore o di disgusto attiva lo stesso substrato neurale sotteso alla percezione in prima persona dello stesso tipo di emozione. Un'altra conferma viene da studi clinici su pazienti affetti da patologie neurologiche: una volta persa la capacità di provare ed esprimere una data emozione diventa impossibile anche riconoscerla quando espressa dagli altri. Come nel caso delle azioni anche per le emozioni si può parlare di una comprensione immediata che non presuppone processi cognitivi di tipo inferenziale o associativo: “La comprensione immediata delle emozioni degli altri è il prerequisito necessario per quel comportamento empatico che sottende larga parte delle nostre relazioni interindividuali”.
Lungi dall'essere confinate al funzionamento di alcune cellule nervose le proprietà specchio pervadono quindi l'intero sistema cerebrale: la stessa logica che permette di accoppiare esecuzione e comprensione delle azioni in un unico meccanismo neurale permette di descrivere la condivisine emotiva e forse anche il fenomeno della coscienza. In un recente lavoro pubblicato su “Science” la neuropsicologa Anna Berti ha individuato un analogo meccanismo di “accoppiamento neurale” per l'esecuzione delle azioni e la consapevolezza di averle (o non averle) compiute: la consapevolezza motoria che ci permette di essere coscienti delle nostre azioni condividerebbe lo stesso substrato neurale sotteso al controllo motorio delle azioni in questione.
Questa felice operazione editoriale in cui il neuroscienziato padre dei neuroni specchio è stato affiancato da un filosofo viene proposta da Raffaello Cortina nella collana “Scienza e Idee” che nel tema dell'interdisciplinarità trova il suo punto di forza. Tuttavia in questo caso è opportuno riflettere proprio sul modo in cui Rizzolatti e Sinigaglia hanno inteso il rapporto tra scienza e filosofia. Al metodo filosofico è stata attribuita la funzione quasi “redazionale” di fare chiarezza nell'esposizione e di garantire un uso pertinente di termini come “intenzione” “comprensione pragmatica” o “empatia” che certo appartengono più al lessico del filosofo che dello scienziato. Riguardo ai contenuti nessun ulteriore rimando alla filosofia (a parte qualche parco riferimento alla fenomenologia di Merleau-Ponty) si sovrappone all'intrinseco contenuto filosofico che emerge in modo spontaneo dall'esposizione degli esperimenti scientifici: la proposta dei due autori non consiste nell'instaurazione di un dialogo interdisciplinare fra filosofia e neuroscienze ma nella decisa affermazione che la scienza è essa stessa filosofia. (Francesca Garbarini, L'Indice)





GENOMA (Matt Ridley)

La mappatura del genoma è stata una delle più ambiziose avventure intraprese dall'uomo moderno. L'obiettivo era così imponente da lasciare sconcertati: migliaia di geni da decifrare e milioni di basi chimiche da ricostruire. Ma poco a poco intorno al progetto è cresciuta una tensione simile a quella che accompagna i grandi eventi. Oggi, dopo che un ente pubblico e una multinazionale guidata da un ex surfista si sono sfidati senza esclusione di colpi per svelare i segreti e la sfuggente bellezza, il genoma è diventato una celebrità. A lui sono dedicate riviste e siti internet come una star del cinema. Conoscere il nostro codice genetico ci ha messo di fronte a un nuovo modo di fare scienza, di affrontare le malattie, di comprendere gli organismi e di ripensare le nostre origini.
Districandosi tra passato e futuro, storia e prospettive, Matt Ridley ci conduce per mano nei meandri dei sistemi biologici complessi, preoccupandosi fin dall'inizio di eliminare un equivoco diffuso: " i geni non esistono per provocare malattie". La conoscenza del "corredo" che ereditiamo dai nostri antenati non è una condanna, ma sempre e comunque una possibilità. Ventidue capitoli più uno per raccontare l'autobiografia di una specie, la nostra, saltando da un coromosoma all'altro. Una lucida guida per superare gli allarmismi e i fraintendimenti che circondano uno dei temi più avvincenti del panorama scientifico contemporaneo, e capire, infine, quanto siamo liberi e quanto determinati dal DNA

L'errore di Cartesio (Antonio R. Damasio)

Risale a Cartesio quella separazione drastica fra emozione e intelletto che per secoli è stata un criterio ispiratore della ricerca, nonché un principio speculativo da non violare. Ma la realtà si sta rivelando diversa. In particolare, attualmente le affascinanti indagini sul cervello attualmente in corso muovono in tutt'altra direzione. Damasio è stato forse il primo a porre sotto attento esame le infauste conseguenze della separazione di cartesio, e oggi è possibile circoscrivere quell'errore sulla base non soltanto di argomentazioni speculative, ma anche dall'analisi dei casi clinici - che Damasio presenta con vivacità narrativa comparabile a quella di Sacks - e della valutazione di fatti neurologici sperimentali. Tutte le linee sembrano convergere verso uno stesso risultato: l'essenzialità del valore cognitivo del sentimento. Forzando l'espressione linguistica corrente, Damasio usa "sentimento" per denotare qualcosa di concettualmente nuovo, e introduce una distinzione importante e finora non rilevata tra il sentire di base e il sentire delle emozioni: distinzione che qui è fondata su osservazioni di architettura anatomico-funzionale del sistema nervoso centrale e non su motivazioni di solo funzionalismo psicologico (come per esempio in Johnson-Laird). Si compie così un grande passo in avanti verso il chiarimento neurobiologico della funzionalità emotiva e dei suoi strettissimi intrecci con l'agire razionale. Proprio qui si addensano le principali novità, che fanno di questo libro una delle letture più appassionanti in un campo - quello del rapporto tra cervello e coscienza - dove ancora moltissimo è da scoprire.
Phineas Gage era un abile ed esperto capo operaio americano, che, in un giorno per lui sfortunato del 1848, ebbe il cranio trapassato da un palo di ferro lungo un metro e dieci centimetri, del diametro di circa tre centimetri. Il palo, sparato dall'esplosione accidentale di una carica da mina, penetrò nella guancia sinistra di Gage e uscì dalla sommità del suo cranio avendo attraversato la parte frontale del cervello. Gage perse i sensi solo per pochi minuti. Fu curato da un medico molto capace - il dottor John Harlow - che gli evitò le conseguenze peggiori dell'inevitabile infezione. Guarì, e non solo: le sue capacità cognitive (linguaggio, ragionamento, ecc.) risultarono sostanzialmente intatte. Eppure, aveva subito un mutamento profondo, che gli avrebbe reso impossibile una vita normale. Nelle parole del suo medico, egli era divenuto "bizzarro, insolente, capace delle più grossolane imprecazioni (da cui in precedenza era stato del tutto alieno)... a volte tenacemente ostinato, e però capriccioso e oscillante: sempre pronto a elaborare molti programmi di attività future che abbandonava non appena li aveva delineati". Non fu in grado di tornare al suo vecchio lavoro, n‚ di tenerne altri per un periodo sufficiente; morì a San Francisco nel 1861, forse in seguito a una serie di attacchi di epilessia. Che cosa era successo esattamente a Phineas Gage, e che cosa succede agli altri che, come lui, subiscono una lesione selettiva alle cortecce prefrontali del cervello? L'eccellente libro di Damasio, ben tradotto da Filippo Macaluso, è - tra molte altre cose - un tentativo di rispondere a questa domanda. La risposta è dettagliata, e chiama in causa molte conoscenze e non poche speculazioni (non tutte cogenti, ma sempre interessanti): tra l'altro, si intreccia con una teoria generale del rapporto tra mente e corpo, con un'ipotesi sulla costi-tuzione del sé e sulla coscienza e con una teoria delle emozioni e dei sentimenti. Qui cercherò di limitarmi al filo principale di questo intreccio. Il problema è chiaro. I pazienti prefrontali come Gage si comportano in modo "irrazionale": in particolare, a essere menomati sono i loro processi decisionali. Per esempio, in un'occasione un paziente di Damasio, dovendo scegliere la data dell'appuntamento successivo (una decisione banale e non particolarmente problematica), andò avanti per quasi mezz'ora a soppesare i pro e i contro delle possibili alternative in relazione ad altri impegni, alle condizioni del tempo, a ogni possibile elemento interferente; salvo poi accettare senza esitazione la data proposta dai medici. Eppure, questi pazienti non presentano anomalie dei processi cognitivi: parlano e ragionano normalmente. Questo suggerisce che la deliberazione non sia un compito puramente cognitivo, non sia cioè - come vorrebbe una tradizione che da Kant giunge alle moderne teorie della scelta razionale - un puro calcolo di costi e benefici, che esamina uno dopo l'altro i corsi d'azione possibili scegliendo infine quello caratterizzato dalla massima "utilità attesa". Se davvero dovessimo decidere a questo modo, saremmo come i cerebrolesi studiati da Damasio: non ne usciremmo mai. Saremmo sempre nelle condizioni dell'asino di Buridano, che muore di fame non riuscendo a decidersi tra due mucchi di fieno. Certo, nel caso dell'asino i due mucchi erano uguali; ma il punto è che non è sempre facile determinare - in termini strettamente cognitivi - quale di due mucchi è il più grosso: "Non è facile tenere a mente i molteplici livelli di guadagni e perdite che bisogna confrontare: dalla lavagna della memoria semplicemente scompaiono le rappresentazioni dei passi intermedi che bisogna tenere in serbo... Di quei passi intermedi si perdono le tracce, giacché attenzione e memoria operativa hanno capacità limitata". Se la deliberazione dev'essere possibile nei tempi e con le risorse normalmente disponibili a un essere umano, dev'esserci un meccanismo automatico che la semplifica drasticamente: ed è all'alterazione di questo meccanismo che dev'essere imputata la menomazione a cui sono soggetti i pazienti prefrontali. Questo meccanismo, per Damasio, ha a che fare con le emozioni, le quali svolgono, nella produzione di comportamenti razionali, un ruolo molto più importante di quello che viene loro solitamente attribuito. Damasio ritiene che ci siano buone ragioni, sia neurobiologiche sia psicologiche, per respingere l'immagine consolidata secondo cui le emozioni sarebbero appannaggio del nucleo evolutivamente più antico del cervello (ipotalamo, limbo, ecc.), mentre la razionalità sarebbe gestita dalla corteccia cerebrale più recente. Secondo lui, ciò che chiamiamo razionalità è l'effetto combinato di parti antiche e parti recenti. Quando deliberiamo, all'esito dei corsi d'azione alternativi che ci immaginiamo è connesso un marcatore somatico, positivo o negativo. Il marcatore è un segnale che ha la funzione di incentivare o disincentivare le scelte al cui esito è associato, in modo tale che esse vengano decisamente preferite o invece escluse dalla considerazione del deliberante. L'esempio più chiaro di marcatore somatico (negativo) è la spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco che proviamo quando ci immaginiamo l'esito negativo di una certa possibile scelta. Ma non è indispensabile che il corpo subisca davvero una modificazione; esiste un meccanismo alternativo in cui il corpo viene aggirato: le cortecce prefrontali e l'amigdala dicono alla corteccia somatosensitiva di or-ganizzarsi come se il corpo fosse stato messo in un certo stato. Il cervello, in parole povere, percepisce un corpo "emozionato" anche se il corpo non è davvero cambiato. In entrambi i casi, l'idea è che le alternative vengono preselezionate anche in base al loro contenuto emotivo, dove un'emozione "è un insieme di cambiamenti dello stato corporeo connessi a particolari immagini mentali che hanno attivato uno specifico sistema cerebrale", e provare un'emozione è l'esperienza di quei cambiamenti in giustapposizione alle immagini mentali che hanno dato avvio al ciclo. Non so quanto l'anticartesiano Damasio sia consapevole della forte somiglianza tra il suo modo di guardare a emozioni e sentimenti e la teoria delle passioni di un grande cartesiano eterodosso, Spinoza: il sentimento, per Damasio, è l'esperienza di ciò che il corpo fa "mentre corrono i pensieri riguardanti specifici contenuti"; Spinoza, unificando emozioni e sentimenti nella nozione di affetto, diceva che un affetto è un'"affezione del corpo... e insieme l'idea di questa affezione". Una serie di test estremamente ingegnosi mostrano che i pazienti prefrontali sono meno capaci di emozioni dei soggetti normali; nel senso, per esempio, che non esibiscono risposte somatiche a immagini emotivamente coinvolgenti, pur sapendo che si tratta di immagini emotivamente cariche, ed essendo perfettamente in grado di spiegare di quali specifiche emozioni si tratta: essi sono in grado di dire che un'immagine dovrebbe suscitare orrore, ma nulla nel loro corpo esprime un tale orrore. In loro si è interrotto il circuito immaginazione - risposta somatica - cambiamento mentale che nei soggetti normali è alla base dei processi deliberativi. D'altra parte, vi sono secondo Damasio buone ragioni neurobiologiche per ritenere che le aree prefrontali siano proprio quelle deputate alla gestione della maggior parte dei processi implicati nel circuito in questione. L'immagine di un cervello che invia segnali al corpo e a sua volta ne "ascolta" continuamente e attentamente le risposte ("il cervello è l'avvinto uditore del corpo") si generalizza, nel libro di Damasio, in un'immagine del rapporto tra mente e corpo e in una teoria del sé, in cui è centrale la costante rappresentazione cerebrale dello stato del corpo. Il sé è fatto in parte di memoria autobiografica (sapere come ci chiamiamo, dove abitiamo, che cosa ci piace, che vita abbiamo vissuto, ecc.) e in parte non minore della rappresentazione continuamente ripetuta dello stato del nostro corpo: di qui l'angosciosa perdita di sé dei pazienti affetti da anosognosia, che sono condannati a una conoscenza "oggettiva", esteriore del proprio corpo passato, perché la loro mente non percepisce più il suo stato presente. E di qui anche la polemica anticartesiana di Damasio (che dà il titolo al libro, ed è largamente ingiusta): contro il dualismo cartesiano - la netta separazione di mente e corpo - e subordinatamente contro la priorità della mente sul corpo, che sarebbe espressa dal celebre "Cogito ergo sum". Per Damasio, al contrario, la mente deriva dal corpo e anzi dall'intero corpo, non solo dal cervello.
Recensione di Marconi, D., L'Indice 1996, n. 2
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Recollections of my life (Santiago Ramon y Cajal)

Autobiografia di Santiago Ramon y Cajal (1852-1934). Questo libro contiene racconti che vanno dall'infanzia a momenti di vita quotidiana e riflessioni sulle sue pionieristiche ricerche nel campo delle neuroscienze. (il libro è in inglese, non è facile da reperire ma su amazon.com si può ordinare a circa 30$) La diatriba scientifica tra "rete nervosa diffusa" e "teoria del neurone" sostenute rispettivamente da Golgi e Cajal si era trasformata in rivalità e dissidio personale che raggiunse il suo apice nell'11 Dicembre 1906 a Stoccolma quando i due ricevettero il Nobel per le loro ricerche, Nobel che venne ribattezzato "dell'odio". Clicca qui per "Il Nobel dell'odio"

Il cervello infinito (Norman Doidge)

Cheryl ha la costante sensazione di cadere a causa di un deficit del suo apparato vestibolare; Barbara ha un cervello asimmetrico ed è considerata "ritardata"; Michael è un chirurgo oculare che a quarantaquattro anni subisce un ictus invalidante. Queste sono solo alcune delle storie alle frontiere della neuroscienza narrate in questo saggio: per loro e per molte altre tipologie di pazienti ora c'è una concreta possibilità di recupero e di completa guarigione. La scoperta che ha aperto la strada a questa fondata speranza è quella della neuroplasticità, ossia la proprietà del cervello di essere malleabile sempre, non solo nell'infanzia. Che il cervello fosse una macchina immutabile e che ogni sua parte non potesse essere sostituita o riparata era un assunto indiscutibile nel secolo scorso: una volta inceppato, il congegno perfetto sarebbe rimasto irrimediabilmente danneggiato. La tesi che ha scatenato la rivoluzione della neuroscienza, invece, ci dice che il cervello è in grado di cambiare se stesso e può funzionalmente riorganizzare ogni sua parte per sopperire alle carenze che si vengono a creare in seguito ai traumi o al lento processo di invecchiamento. Non solo. L'intera esperienza umana può essere spiegata esplorando le potenzialità del cervello malleabile: la creatività e l'amore, la dipendenza e l'ossessione. Si tratta di processi neurologici molto complessi, che sono indagati, anzi, vivacemente raccontati con semplicità e chiarezza espositiva. (20 euro, 2007, 410 p., Ponte alle Grazie)
"In questo libro potete trovare un capitolo molto interessante dedicato a Ramachandran e agli arti fantasma, studi di Merzenich sulla plasticità delle mappe della corteccia sensoriale nelle scimmie e numerosi altri studi sulla plasticità del cervello. Buona lettura"

Ramachandran, the Temporal Lobes and God

Ho pensato potesse essere interessante pubblicare questo breve documentario dove Ramachandran spiega la relazione che intercorre tra l'epilessia dei lobi temporali e le intense esperienze religiose. Buona visione

PRIMA PARTE

SECONDA PARTE

La donna che morì dal ridere (Vilayanur S. Ramachandran, Sandra Blakeslee)

Una donna che sostiene di parlare con Dio, un atleta che ha perso il braccio ma non la sensazione di poterne disporre, un giovane coinvolto in un tragico incidente stradale convinto che i genitori siano stati sostituiti da replicanti, e ancora il caso del celebre umorista e vignettista James Thurber, colto da allucinazioni fantastiche e "sostitutive della realtà" in seguito alla progressiva perdita della vista. Ciascuno di questi disturbi patologici è il punto di partenza per indagare su quella macchina straordinaria e animata che è il cervello, nel tentativo di ricostruirne l'architettura e il funzionamento e di dare una spiegazione alle nostre predisposizioni intellettuali o pratiche, ai nostri comportamenti e stati d'animo. (prezzo 10 euro, casa editrice Mondadori, pagine 362, anno di pubblicazione 1999)

Prima lezione di neuroscienze (Alberto Oliverio)

Sul mercato italiano esistono buoni trattati universitari (in genere traduzioni) dedicati alle neuroscienze come anche opere che affrontano a livello più approfondito aspetti specifici di questo esteso e complesso ambito disciplinare: meno facile è trovare testi che possano fungere da introduzione semplice ma sufficiente e corretta. Il libretto di Alberto Oliverio svolge ottimamente questo ruolo toccando in quattro agili e chiari capitoli altrettanti temi che pur non esaustivi riescono a trasmettere l'idea di una scienza dalle molte facce con radici profonde e in continua evoluzione. Il primo capitolo si apre molto utilmente con un breve richiamo storico alla nascita delle neuroscienze moderne e in particolare a una delle vicende che hanno segnato le origini della neurobiologia cellulare: la polemica fra Golgi e Cajal i due ricercatori che condivideranno il Nobel nel 1906 sulla natura discreta o continua delle reti nervose. Richiamo importante a ribadire che le neuroscienze sono state fin dall'inizio terreno di controversie di polemiche di confronto fra interpretazioni contrastanti. Dalla scoperta dei meccanismi di comunicazione fra cellule nervose si passa allo studio del cervello e della sua organizzazione: il secondo capitolo (Ontogenesi e filogenesi) lo affronta partendo dal confronto fra la neurobiologia dello sviluppo e quella evolutiva; attraverso lo studio dell'emergere di strutture via via più complesse e specializzate e della loro capacità di dare riposte adeguate agli stimoli provenienti dall'ambiente esterno vengono delineate le funzioni delle diverse aree e delle connessioni fra esse. Nel capitolo successivo si parla delle funzioni della mente dal controllo dell'azione alle emozioni dalla memoria all'oblio con un costante riferimento alle basi neurali del comportamento. Nell'ultimo infine questi aspetti vengono approfonditi e riportati al mai concluso dibattito sul rapporto fra cervello mente e capacità cognitive. Il libro si presenta fin dal titolo come una lezione (o credo più realisticamente una serie di lezioni) introduttiva a un corso universitario; questo taglio comporta che i vari temi siano trattati in maniera sintetica. La parte di neurobiologia cellulare ad esempio se si volesse dare retta agli umori del recensore avrebbe potuto essere un po' più sviluppata: ma nell'insieme la struttura del libro risulta equilibrata e risponde bene allo scopo che l'autore si è prefisso. (Davide Lovisolo, L'Indice).

Geografia della mente (Alberto Oliverio)

Gran parte di ciò che oggi sappiamo sul cervello deriva dalla crescente capacità di tracciare delle mappe, vere e proprie carte topografiche, della corteccia cerebrale e delle strutture situate nella profondità dell'encefalo. Queste mappe ci permettono di conoscere dove ha inizio un'azione, quali nuclei sono alla base del linguaggio, quali sono le reti della memoria. Una geografia della mente che ci dischiude un mondo nuovo, diverso da come l'avevamo finora immaginato, in cui non è necessaria la presenza di un deus ex machina che faccia da interprete e tiri i fili del teatro mentale.

L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello (Oliver Sacks)

L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello è un saggio neurologico di Oliver Sacks, pubblicato per la prima volta a New York nel 1985. In esso, l'autore racconta alcune sue esperienze cliniche di neurologo e descrive alcuni casi di pazienti con lesioni encefaliche di vario tipo, che hanno prodotto i comportamenti più tristi e bizzarri. Accostandosi ai casi neurologici in maniera che oggi verrebbe definita olistica, Sacks costituisce un esempio per tutti coloro che si trovano ad avere a che fare, professionalmente, con la sofferenza. Prima che casi clinici, bizzarrie neuropsicologiche, i pazienti di Sacks sono uomini e donne che, attraverso la malattia, riflettono un modo personale e originale di vedere il mondo, sono individui nella loro interezza. Sacks, richiamandosi alla tradizione di Ippocrate e Lurjia, è fautore della reintroduzione della storia clinica in medicina. Nelle prime pagine, il libro riporta una significativa citazione da Lurjia: "La capacità di descrivere, così comune nei grandi neurologi e psichiatri dell'Ottocento, oggi è quasi scomparsa... E' necessario ridarle vita."
Alla prima edizione statunitense sono seguite fino ad oggi numerosissime ristampe, che hanno reso possibile la traduzione di questo saggio in molte lingue. A determinare la sua straordinaria diffusione, oltre alla bizzarria dei casi trattati dal dottor Sacks, è indubbiamente anche il modo romanzesco in cui essi sono descritti: come dice lo stesso autore nella prefazione, « Mi sento infatti medico e naturalista al tempo stesso; mi interessano in pari misura le malattie e le persone; e forse sono anche insieme, benché in modo insoddisfacente, un teorico e un drammaturgo, sono attratto dall'aspetto romanzesco non meno che da quello scientifico, e li vedo continuamente entrambi nella condizione umana, non ultima in quella che è la condizione umana per eccellenza, la malattia: gli animali si ammalano, ma solo l'uomo cade radicalmente in preda alla malattia. » In ogni capitolo, il dottor Sacks narra di alcuni casi particolari che gli è capitato di incontrare nella sua esperienza clinica di tutti i giorni, come neurologo di una casa di cura statunitense. La componente umana di ogni sua storia, il paziente, viene descritta con toni a volte burleschi, a volte molto pietosi e tristi, mentre l'analisi clinica sulle cause che hanno provocato questo particolare tipo di comportamento è sempre precisa e rigorosamente scientifica, pur lasciandosi andare talvolta a riflessioni filosofiche (e, raramente, anche religiose) sulla natura più profonda della malattia in sé. In questo The Man Who Mistook His Wife For a Hat, lo specialista inglese ci descrive, in 24 capitoletti, dei casi clinici, portatori ognuno di una particolarità congenita o acquisita del sistema nervoso e sia che ci parli di sindrome di Korsakov, o di prosopoagnosia, o di eminattenzione, o di morbo di Parkinson, di epilessia, di asomatognosia, di afasia, della sindrome di Tourette, di insufficienza mentale, di autismo, lo fa con grande competenza professionale e umanità, oltre che con abilità e sensibilità di narratore, teso a cogliere le più sottili sfumature di ogni individuo.
L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello IL CASO Questo caso, considerato tanto importante dall'autore da spingerlo a intitolarvi tutto il saggio, narra del dottor P., «eminente musicista», che cominciò gradualmente a manifestare una progressiva incapacità di dare un significato a ciò che vedeva, ed a confondere tra di loro gli oggetti (e soprattutto le persone viventi) appartenenti alla sua vita quotidiana. Il titolo deriva proprio da una delle gaffes di questo paziente, che alla fine di un colloquio con il dottor Sacks confuse la testa di sua moglie con il suo cappello, e l'afferrò tentando di mettersela in testa. Nella sua trattazione, Sacks sottolinea più volte come il dottor P. non avesse alcun deficit visivo, ed avesse anzi uno spirito di osservazione molto acuto: semplicemente, in lui era scomparsa la capacità di assegnare un significato visivo agli oggetti che vedeva attorno a sé, sebbene fosse in grado di riconoscerli utilizzando gli altri quattro sensi. Durante un esperimento, il dottor Sacks gli consegnò un guanto, che egli fu perfettamente in grado di descrivere ma non di associare al suo significato, fino a quando non fu forzato ad indossarlo (mettendo quindi in campo il senso del tatto). « Una superficie continua, » annunciò infine « avvolta su se stessa. Dotata... » esitò « di cinque estremità cave, se così si può dire. [...] Un qualche contenitore? » « Sì, » dissi « e che cosa potrebbe contenere? [...] Non ha un aspetto familiare? Non crede che potrebbe contenere, fasciare, una parte del suo corpo? » Nessun lampo di riconoscimento illuminò il suo viso. In seguito se lo infilò per caso: « Dio mio! » esclamò « È un guanto! »

Il Cervello Emotivo (Joseph LeDoux)

Cosa succede nel nostro cervello quando proviamo paura e amore, gioia e odio, rabbia e felicità? Esiste un modo per controllare le emozioni o sono loro, sempre e comunque, a controllare noi? Gli animali provano emozioni? E come mai episodi della nostra infanzia, anche quelli che abbiamo dimenticato, continuano ad influenzare i nostri comportamenti adulti? Sono queste, e tante altre per la verità, le domande che hanno spinto Joseph LeDoux, neurobiologo di fama mondiale, a scrivere "Il cevello emotivo". Il risultato è un libro di grande efficacia, capace di aggiornarci sulle ricerche che hanno portato alla "rivoluzione emotiva" che ha invaso i settori e le discipline più disparate, dalla psicologia al marketing. A differenza dei sentimenti consci, quelli di cui siamo pienamente consapevoli, le emozioni hanno origine a un livello ben più profondo della mente e sono il risultato di sofisticati sistemi neurali comparsi nel corso dell'evoluzione con un obbiettivo preciso: garantire la sopravvivenza dell'individuo. Nel funzionamento del cervello emotivo i sentimenti consci sono irrilevanti, mentre sono le emozioni ad avere un ruolo determinante. Anche se si tratta di meccanismi neurali, ciò che le scatena può mutare attraverso l'esperienza. Proprio questa - dice LeDoux - è la chiave per capire, e forse cambiare, la nostra costituzione emotiva.
Con le sue implicazioni per la comprensione della natura umana, il cevello emotivo è un resoconto sorprendente e intrigante di come la scienza, la neurobiologia in particolare, stia cambiando il modo di vedere - e vivere- le nostre emozioni.