I neuroni della lettura

Come impara a leggere il nostro cervello da primate? Esistono metodi di lettura migliori di altri? E poi, utilizziamo le stesse aree corticali quando leggiamo l'italiano, l'arabo o il cinese? Stanislas Dehaene ci mostra come per rispondere a tali domande occorra dar vita a una scienza della lettura del tutto nuova, in grado di combinare quello che le neuroimmagini ci dicono sui circuiti corticali sottesi all'elaborazione di grafemi e fonemi con quello che la psicologia ci insegna sui meccanismi cognitivi legati all'arte del leggere. Veniamo così a sapere che nel corso dell'acquisizione della lettura i nostri circuiti corticali originariamente destinati al riconoscimento degli oggetti si sono "riciclati" per decifrare caratteri dalle più diverse dimensioni e fogge e che questa conversione è stata lenta, parziale e non priva di difficoltà, come mostrano i ripetuti scacchi cui vanno incontro i bambini (e non solo...). Tale scienza della lettura, però, ha un valore non solo teorico, ma anche pratico, in vista soprattutto di una nuova pedagogia capace di introdurre nel variegato mondo della scuola le conquiste più recenti delle neuroscienze.

Un antropologo su Marte


Info per l'aquisto
Il libro di Sacks conferma la ricchezza e le promesse di un approccio che sarebbe riduttivo mettere sotto il solo ombrello della narrativa clinica. Il successo e lo stile di Oliver Sacks non sarebbero infatti comprensibili per intero se trascurassimo di considerare l'interesse crescente nei confronti del "racconto della malattia" che, soprattutto nei paesi anglosassoni, ha dominato la letteratura medico-antropologica o antropologica tout court degli ultimi vent'anni (si è parlato a questo proposito di literary turn e di fascination of narrative). I suoi dettagliati ma al tempo stesso umani resoconti di sindromi e patologie, l'analisi dei loro concreti effetti sulle persone, vengono costruiti attraverso un ascolto attento, che registra sin nei più contraddittori interstizi l'esistenza quotidiana dei suoi pazienti (dei quali è messa in primo piano la illness, insomma, più che la disease). Questo singolare modo di avvicinarsi all'esperienza della sofferenza gli permette di portare alla luce ciò che altrimenti rimarrebbe inespresso o, come più spesso accade, ai margini semplicemente perché considerato "superfluo" secondo i modelli egemoni della razionalità medica. Young ha analizzato proprio in questi termini il contemporaneo potere della biomedicina: nella sua capacità cioè di silenziare altri nomi o cancellare altre conoscenze.
A questa prospettiva l'autore non può d'altronde essere per intero ricondotto. Sacks è cioè un medico, un neurologo estremamente colto e competente che diagnostica, cura, sperimenta insuccessi, e che registra lacrime e speranze dei suoi malati su pagine dove corrono intrecciate alle prime le parole di quella ricerca e di quella pratica clinica di cui non vengono messi in discussione come potrebbero i fondamenti (tranne che per sottolinearne gli schematismi cartesiani o le diffidenze verso ipotesi e approcci, quelli dello stesso Sacks ad esempio, che non ricalchino il corso della "scienza normale"). Nel descrivere questo, nel "dar voce" ai contraddittori vissuti di un pittore che perde la visione dei colori dopo un incidente, di una paziente affetta da autismo che prova a inventare "macchine per abbracciare", di un chirurgo affetto dai tic e da altri sintomi della sindrome di Tourette (sulla quale Nathan ha attirato in anni recenti l'attenzione), Sacks attivamente trasforma il racconto dei suoi interlocutori "unici" (ed è questo un problema che, trascendendo la tradizione dei "casi clinici", si è imposto al centro del dibattito su authorship e testualità). Per lui esistono le malattie, le stesse in ogni luogo e epoca, che solo col tempo verranno riconosciute come tali da una scienza adeguata.

Il suo sguardo e il suo ascolto rimangono allora spesso catturati dentro una luminosa fenomenologia del rapporto, quasi avventuroso, che stringono quei protagonisti solitari che sono il medico e il paziente, mentre non vengono colti con altrettanta attenzione il contesto istituzionale, i rapporti di forza tra i diversi attori, il difficile accesso alle cure sanitarie di minoranze e poveri negli Stati Uniti, e quant'altro in genere converrebbe non più dimenticare quando si esplora l'accidentato territorio della salute e della malattia. Se questo costituisce un limite nella sua opera, rimane indiscusso il pregio di una scrittura che sembra aver realizzato una sorta di prodigio là dove dimostra come l'approccio narrativo alla malattia rappresenti una risorsa decisiva nel costruire una biografia dotata di significato; ma un altro prodigio di sintesi fra voci e linguaggi diversi è realizzato, con la naturalezza di cui gli scrittori anglosassoni danno sempre lezione, a un altro livello: il mind-body problem, il dilemma fra attività volontaria e involontaria, e altre questioni propriamente "epistemologiche" (nel senso che questo termine ha nella cultura statunitense), fanno capolino discreto fra interrogativi diagnostici e vissuti della malattia. Dentro questi sette racconti, che "paradossali" sono però solo se si leggono dal luogo della ragione medica e del suo dispositivo retorico (per il quale "salute" e "malattia" possono essere concepite soltanto come entità antinomiche), spiccano quelle metafore dense e irriducibili, dotate di uno strano potere, che i pazienti speso ci offrono quando parlano delle loro esperienze. In esse, sembra dirci l'autore, si celano le tracce da seguire per comprendere, forse meglio che attraverso ogni altra teoria o esame diagnostico, l'altrui domanda e la complessa condizione di chi sperimenta la rottura di quell'involucro invisibile che è la salute e la normalità. È l'uso di queste stesse metafore che ci permette talora di sostenere il paziente anche laddove l'unica soluzione possibile (ciò che la scienza medica per prima fa fatica ad ammettere) è apprendere a convivere con i limiti che la malattia innalza, cogliendo tutto quanto in lui si dispiega e vive nonostante la malattia.


 

 Un'interessantissima discussione sulla sindrome di Charles Bonnet e lo strano fenomeno delle allucinazioni visive

Le cellule invisibili

Le staminali - tra i temi più controversi della biologia contemporanea -sono cellule in grado di replicarsi indefinitamente e di cambiare aspetto a seconda del contesto e dell'attività svolta in un dato momento: caratteristiche che le rendono assai versatili ma anche, in qualche modo, invisibili all'occhio del ricercatore. Questo libro ripercorre gli studi che hanno portato a individuare la presenza di staminali là dove a lungo la si è ritenuta impossibile: nel cervello, l'elemento più statico e complesso di tutto l'organismo. La storia si dipana come una vera e propria inchiesta poliziesca dalle atmosfere ora fantascientifiche, ora quasi noir: un'indagine ambientata in quei laboratori dove nell'ultimo decennio alcuni ricercatori, tra lo scetticismo della comunità scientifica, hanno dimostrato la genesi di nuove cellule cerebrali durante la vita adulta dell'individuo e inserito così i neuroni nell'universo in continua espansione delle staminali, aprendo prospettive inedite alle neuroscienze. Un libro che, se da un lato restituisce il sapore della ricerca e l'entusiasmo di chi la porta avanti, dall'altro sceglie di attenersi ai fatti e ai risultati, senza allinearsi ai toni gridati di quella divulgazione che assicura a breve cure miracolose: lo sfruttamento terapeutico delle cellule invisibili è una meta quanto mai promettente ma, ammonisce l'autore, richiederà un viaggio ancora lungo e disseminato di incognite.


Intervista a Rizzolatti "I segreti dei neuroni specchio"


So quel che fai


"I neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia"
(Vilayanur S. Ramachandran)
  
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Come riusciamo ad afferrare immediatamente il significato delle azioni degli altri? Come ne comprendiamo intenzioni ed emozioni? Per secoli filosofi e medici dell'anima hanno cercato la risposta. Ma nell'ultimo decennio è la neurofisiologia a offrire la via più promettente. Sono stati individuati dei neuroni (neuroni specchio) dotati di una sorprendente prprietà: si attivano sia quando compiamo una data azione sia quando vediamo che altri la fanno. Questa straordinaria scoperta, i presupposti teorici e le ricerche sperimentali che l'hanno resa possibile vengono per la prima volta affrontati in questo libro. Non si tratta solo di originale esplorazione dei meccanismi neurali che sottendono molti dei nostri comportamenti individuali e sociali, ma di un'innovativa indagnie sull'evoluzione di intelligenza ed emozione, di pensiero e linguaggio. Un'indagine destinata a trasformare il nostro modo di concepire le funzioni della mente e a influenzare psicologia, antropologia, etica ed estetica.

Questo del neuroscienziato Giacomo Rizzolatti e del filosofo Corrado Sinigaglia era certamente un libro da fare. Il volume raccoglie sotto forma di saggio la letteratura specialistica che ha segnato le tappe del lungo percorso di ricerca intorno alla scoperta e all'interpretazione dei neuroni canonici e dei neuroni specchio. Non manca proprio nulla in queste pagine: le numerose schiere di appassionati (non solo di ambito neuroscientifico ma spesso anche filosofico psicologico linguistico o antropologico) troveranno qui tutti gli esperimenti con relativi presupposti teorici risultati e interpretazioni di cui con entusiasmo hanno seguito lo sviluppo nel corso di questi anni; i molti curiosi attratti dai “neuroni dell'empatia” di cui hanno letto sui giornali o sentito durante incontri o presentazioni avranno a disposizione uno strumento esaustivo e chiaro per fare il punto sullo stato dell'arte di queste ricerche che hanno rivoluzionato il nostro modo di intendere l'architettura e il funzionamento del cervello.
L'argomentazione centrale intorno alla quale sono articolati i sette capitoli del libro è che “il cervello che agisce è anche e innanzitutto un cervello che comprende”. Il significato e la portata di questa tesi risiedono nel cuore del meccanismo neurale individuato dai neurofisiologi dell'Università di Parma coordinati da Giacomo Rizzolatti. In una serie di studi condotti nel corso degli ultimi vent'anni i ricercatori hanno scoperto nella corteccia premotoria della scimmia e in seguito anche dell'essere umano l'esistenza di due gruppi di neuroni entrambi attivi durante l'esecuzione di azioni correlate a oggetti: si tratta di gesti semplici e familiari come afferrare qualcosa con la mano o portare del cibo alla bocca. La cosa sorprendente è che questi due gruppi di neuroni premotori si attivano anche in assenza di qualunque esecuzione esplicita dell'azione durante compiti puramente osservativi: i neuroni del primo gruppo rispondono alla visione dell'oggetto cui l'azione potrebbe essere rivolta quelli del secondo all'osservazione di un altro individuo che compie la medesima azione.
Seguendo gli autori possiamo fare l'esempio della tazzina da caffé: i neuroni premotori si attivano mentre ne afferriamo il manico; tuttavia per alcuni di essi l'attivazione è innescata anche dalla semplice osservazione della tazzina posata sul tavolo per altri anche dall'osservazione del nostro vicino che l'afferra per bere il suo caffé. Si tratta quindi in entrambi i casi di neuroni bimodali motori e percettivi insieme la cui attività può essere descritta mediante il medesimo meccanismo di simulazione: durante l'osservazione di un oggetto si attiva uno schema motorio appropriato alle sue caratteristiche (quali forma dimensione e orientamento nello spazio) “come se” l'osservatore entrasse in interazione con esso; allo stesso modo durante l'osservazione di un'azione eseguita da un altro individuo il sistema neurale dell'osservatore si attiva “come se” fosse egli stesso a compiere la medesima azione che osserva. I neuroni del primo gruppo sono stati chiamati “neuroni canonici” perché sin dagli anni trenta si era ipotizzato un coinvolgimento delle aree premotorie nella trasformazione dell'informazione visiva relativa a un oggetto negli atti motori necessari per interagire con esso; quelli del secondo gruppo sono stati chiamati “neuroni specchio” in quanto provocano una reazione speculare nel sistema neurale dell'osservatore in cui ha luogo una simulazione implicita dell'azione osservata.
Alla luce di questo meccanismo di simulazione neurale può essere reinterpretato il ruolo svolto all'interno dell'intero sistema cognitivo dal sistema motorio di solito connesso esclusivamente con la pianificazione e con l'esecuzione delle azioni: i neuroni bimodali individuati nella corteccia premotoria risultano fortemente implicati in processi cognitivi di alto livello in particolare nel riconoscimento percettivo di oggetti e azioni e nella comprensione del loro significato. Viene quindi meno il rigido confine tra processi percettivi cognitivi e motori che ha per anni caratterizzato l'interpretazione dell'architettura cerebrale: percezione comprensione e azione si trovano unificate in un meccanismo unitario dove per l'appunto “il cervello che agisce è anche e innanzitutto un cervello che comprende”. La comprensione per quanto concerne gli oggetti riguarda il loro significato funzionale o affordance; i neuroni canonici consentono una comprensione immediata delle opportunità di interazione che gli oggetti offrono a un soggetto percepiente (nel caso del manico della tazzina da caffé la possibilità di essere afferrato). Per quanto concerne le azioni la comprensione riguarda lo scopo che a esse è sotteso: i neuroni specchio permettono una comprensione immediata delle intenzioni degli altri individui (l'intenzione ad esempio di portare la tazzina alla bocca per bere il caffé) rendendo possibile una previsione del loro comportamento futuro.
Il libro riporta fedelmente i principali esperimenti condotti sulla scimmia e sull'essere umano. Ovviamente le tecniche utilizzate sono molto diverse: mentre nelle scimmie è possibile effettuare una registrazione del singolo neurone tramite l'inserzione intracorticale di elettrodi nei soggetti umani si utilizzano esclusivamente metodi non invasivi di imaging cerebrale come la tomografia a emissione di positroni (pet) o la risonanza magnetica funzionale (fmri) che permettono di visualizzare l'attività di intere aree cerebrali ma non di singole cellule nervose.
Nel quarto capitolo Agire e comprendere vengono descritti due esperimenti centrali per la definizione del ruolo dei neuroni specchio nella comprensione dello scopo sotteso alle azioni. Il primo ha permesso di constatare l'esistenza di un meccanismo specchio non solo in modalità motoria e visiva ma anche uditiva quando la scimmia è al buio e ascolta il rumore prodotto da un'azione: lo stesso neurone “scarica” quando l'animale rompe una nocciolina quando vede qualcuno romperla e quando sente il rumore di qualcuno che la rompe. A prescindere dalla modalità lo stesso neurone si attiva per codificare il concetto astratto di “rompere” che coincide con lo scopo con l'intenzione dell'azione. Il secondo esperimento ha invece permesso di discriminare tra un gesto di afferramento finalizzato a portare il cibo alla bocca o a metterlo in un contenitore: durante l'esecuzione della medesima azione (afferramento) i neuroni specchio si attivano in modo diverso a seconda dello scopo finale dell'azione in particolare dell'intenzione di portare il cibo alla bocca o di spostarlo nel contenitore. Nella stessa direzione sembrano andare alcuni risultati ottenuti con gli esseri umani mediante un esperimento con fmri: è stato possibile riscontrare nei soggetti sperimentali un'attivazione del sistema specchio particolarmente significativa durante l'osservazione non di azioni “pure” ma di azioni inserite nel contesto da cui si poteva evincere in modo chiaro l'intenzione che vi era sottesa. L'insieme di questi esperimenti permette di affermare che “il sistema dei neuroni specchio è in grado di codificare non solo l'atto osservato ma anche l'intenzione con cui esso è compiuto”. In accordo con il paradigma dell'embodied cognition le intenzioni altrui possono essere comprese senza alcuna mediazione riflessiva concettuale o linguistica: si tratta di una comprensione pragmatica “basata unicamente su quella conoscenza motoria dalla quale dipende la nostra stessa capacità di agire”.
Nel sesto capitolo Imitazione e linguaggio sono descritte altre due importanti funzioni attribuite al sistema specchio: una funzione imitativa intesa sia come capacità di replicare gesti già appartenenti al nostro repertorio motorio sia come capacità di apprendere schemi motori nuovi attraverso l'imitazione; una funzione comunicativa che permetterebbe di delineare un possibile scenario sull'origine del linguaggio umano connesso all'evoluzione del sistema specchio.
Al tema della condivisione delle emozioni è invece dedicato l'ultimo capitolo del libro: “Il riconoscimento delle emozioni altrui poggia su un insieme di circuiti neurali che per quanto differenti condividono quella proprietà specchio già riscontrata nel caso della comprensione delle azioni”. è stato possibile studiare sperimentalmente alcune emozioni primarie: i risultati mostrano chiaramente che osservare negli altri una manifestazione di dolore o di disgusto attiva lo stesso substrato neurale sotteso alla percezione in prima persona dello stesso tipo di emozione. Un'altra conferma viene da studi clinici su pazienti affetti da patologie neurologiche: una volta persa la capacità di provare ed esprimere una data emozione diventa impossibile anche riconoscerla quando espressa dagli altri. Come nel caso delle azioni anche per le emozioni si può parlare di una comprensione immediata che non presuppone processi cognitivi di tipo inferenziale o associativo: “La comprensione immediata delle emozioni degli altri è il prerequisito necessario per quel comportamento empatico che sottende larga parte delle nostre relazioni interindividuali”.
Lungi dall'essere confinate al funzionamento di alcune cellule nervose le proprietà specchio pervadono quindi l'intero sistema cerebrale: la stessa logica che permette di accoppiare esecuzione e comprensione delle azioni in un unico meccanismo neurale permette di descrivere la condivisine emotiva e forse anche il fenomeno della coscienza. In un recente lavoro pubblicato su “Science” la neuropsicologa Anna Berti ha individuato un analogo meccanismo di “accoppiamento neurale” per l'esecuzione delle azioni e la consapevolezza di averle (o non averle) compiute: la consapevolezza motoria che ci permette di essere coscienti delle nostre azioni condividerebbe lo stesso substrato neurale sotteso al controllo motorio delle azioni in questione.
Questa felice operazione editoriale in cui il neuroscienziato padre dei neuroni specchio è stato affiancato da un filosofo viene proposta da Raffaello Cortina nella collana “Scienza e Idee” che nel tema dell'interdisciplinarità trova il suo punto di forza. Tuttavia in questo caso è opportuno riflettere proprio sul modo in cui Rizzolatti e Sinigaglia hanno inteso il rapporto tra scienza e filosofia. Al metodo filosofico è stata attribuita la funzione quasi “redazionale” di fare chiarezza nell'esposizione e di garantire un uso pertinente di termini come “intenzione” “comprensione pragmatica” o “empatia” che certo appartengono più al lessico del filosofo che dello scienziato. Riguardo ai contenuti nessun ulteriore rimando alla filosofia (a parte qualche parco riferimento alla fenomenologia di Merleau-Ponty) si sovrappone all'intrinseco contenuto filosofico che emerge in modo spontaneo dall'esposizione degli esperimenti scientifici: la proposta dei due autori non consiste nell'instaurazione di un dialogo interdisciplinare fra filosofia e neuroscienze ma nella decisa affermazione che la scienza è essa stessa filosofia. (Francesca Garbarini, L'Indice)