L'errore di Cartesio (Antonio R. Damasio)

Risale a Cartesio quella separazione drastica fra emozione e intelletto che per secoli è stata un criterio ispiratore della ricerca, nonché un principio speculativo da non violare. Ma la realtà si sta rivelando diversa. In particolare, attualmente le affascinanti indagini sul cervello attualmente in corso muovono in tutt'altra direzione. Damasio è stato forse il primo a porre sotto attento esame le infauste conseguenze della separazione di cartesio, e oggi è possibile circoscrivere quell'errore sulla base non soltanto di argomentazioni speculative, ma anche dall'analisi dei casi clinici - che Damasio presenta con vivacità narrativa comparabile a quella di Sacks - e della valutazione di fatti neurologici sperimentali. Tutte le linee sembrano convergere verso uno stesso risultato: l'essenzialità del valore cognitivo del sentimento. Forzando l'espressione linguistica corrente, Damasio usa "sentimento" per denotare qualcosa di concettualmente nuovo, e introduce una distinzione importante e finora non rilevata tra il sentire di base e il sentire delle emozioni: distinzione che qui è fondata su osservazioni di architettura anatomico-funzionale del sistema nervoso centrale e non su motivazioni di solo funzionalismo psicologico (come per esempio in Johnson-Laird). Si compie così un grande passo in avanti verso il chiarimento neurobiologico della funzionalità emotiva e dei suoi strettissimi intrecci con l'agire razionale. Proprio qui si addensano le principali novità, che fanno di questo libro una delle letture più appassionanti in un campo - quello del rapporto tra cervello e coscienza - dove ancora moltissimo è da scoprire.
Phineas Gage era un abile ed esperto capo operaio americano, che, in un giorno per lui sfortunato del 1848, ebbe il cranio trapassato da un palo di ferro lungo un metro e dieci centimetri, del diametro di circa tre centimetri. Il palo, sparato dall'esplosione accidentale di una carica da mina, penetrò nella guancia sinistra di Gage e uscì dalla sommità del suo cranio avendo attraversato la parte frontale del cervello. Gage perse i sensi solo per pochi minuti. Fu curato da un medico molto capace - il dottor John Harlow - che gli evitò le conseguenze peggiori dell'inevitabile infezione. Guarì, e non solo: le sue capacità cognitive (linguaggio, ragionamento, ecc.) risultarono sostanzialmente intatte. Eppure, aveva subito un mutamento profondo, che gli avrebbe reso impossibile una vita normale. Nelle parole del suo medico, egli era divenuto "bizzarro, insolente, capace delle più grossolane imprecazioni (da cui in precedenza era stato del tutto alieno)... a volte tenacemente ostinato, e però capriccioso e oscillante: sempre pronto a elaborare molti programmi di attività future che abbandonava non appena li aveva delineati". Non fu in grado di tornare al suo vecchio lavoro, n‚ di tenerne altri per un periodo sufficiente; morì a San Francisco nel 1861, forse in seguito a una serie di attacchi di epilessia. Che cosa era successo esattamente a Phineas Gage, e che cosa succede agli altri che, come lui, subiscono una lesione selettiva alle cortecce prefrontali del cervello? L'eccellente libro di Damasio, ben tradotto da Filippo Macaluso, è - tra molte altre cose - un tentativo di rispondere a questa domanda. La risposta è dettagliata, e chiama in causa molte conoscenze e non poche speculazioni (non tutte cogenti, ma sempre interessanti): tra l'altro, si intreccia con una teoria generale del rapporto tra mente e corpo, con un'ipotesi sulla costi-tuzione del sé e sulla coscienza e con una teoria delle emozioni e dei sentimenti. Qui cercherò di limitarmi al filo principale di questo intreccio. Il problema è chiaro. I pazienti prefrontali come Gage si comportano in modo "irrazionale": in particolare, a essere menomati sono i loro processi decisionali. Per esempio, in un'occasione un paziente di Damasio, dovendo scegliere la data dell'appuntamento successivo (una decisione banale e non particolarmente problematica), andò avanti per quasi mezz'ora a soppesare i pro e i contro delle possibili alternative in relazione ad altri impegni, alle condizioni del tempo, a ogni possibile elemento interferente; salvo poi accettare senza esitazione la data proposta dai medici. Eppure, questi pazienti non presentano anomalie dei processi cognitivi: parlano e ragionano normalmente. Questo suggerisce che la deliberazione non sia un compito puramente cognitivo, non sia cioè - come vorrebbe una tradizione che da Kant giunge alle moderne teorie della scelta razionale - un puro calcolo di costi e benefici, che esamina uno dopo l'altro i corsi d'azione possibili scegliendo infine quello caratterizzato dalla massima "utilità attesa". Se davvero dovessimo decidere a questo modo, saremmo come i cerebrolesi studiati da Damasio: non ne usciremmo mai. Saremmo sempre nelle condizioni dell'asino di Buridano, che muore di fame non riuscendo a decidersi tra due mucchi di fieno. Certo, nel caso dell'asino i due mucchi erano uguali; ma il punto è che non è sempre facile determinare - in termini strettamente cognitivi - quale di due mucchi è il più grosso: "Non è facile tenere a mente i molteplici livelli di guadagni e perdite che bisogna confrontare: dalla lavagna della memoria semplicemente scompaiono le rappresentazioni dei passi intermedi che bisogna tenere in serbo... Di quei passi intermedi si perdono le tracce, giacché attenzione e memoria operativa hanno capacità limitata". Se la deliberazione dev'essere possibile nei tempi e con le risorse normalmente disponibili a un essere umano, dev'esserci un meccanismo automatico che la semplifica drasticamente: ed è all'alterazione di questo meccanismo che dev'essere imputata la menomazione a cui sono soggetti i pazienti prefrontali. Questo meccanismo, per Damasio, ha a che fare con le emozioni, le quali svolgono, nella produzione di comportamenti razionali, un ruolo molto più importante di quello che viene loro solitamente attribuito. Damasio ritiene che ci siano buone ragioni, sia neurobiologiche sia psicologiche, per respingere l'immagine consolidata secondo cui le emozioni sarebbero appannaggio del nucleo evolutivamente più antico del cervello (ipotalamo, limbo, ecc.), mentre la razionalità sarebbe gestita dalla corteccia cerebrale più recente. Secondo lui, ciò che chiamiamo razionalità è l'effetto combinato di parti antiche e parti recenti. Quando deliberiamo, all'esito dei corsi d'azione alternativi che ci immaginiamo è connesso un marcatore somatico, positivo o negativo. Il marcatore è un segnale che ha la funzione di incentivare o disincentivare le scelte al cui esito è associato, in modo tale che esse vengano decisamente preferite o invece escluse dalla considerazione del deliberante. L'esempio più chiaro di marcatore somatico (negativo) è la spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco che proviamo quando ci immaginiamo l'esito negativo di una certa possibile scelta. Ma non è indispensabile che il corpo subisca davvero una modificazione; esiste un meccanismo alternativo in cui il corpo viene aggirato: le cortecce prefrontali e l'amigdala dicono alla corteccia somatosensitiva di or-ganizzarsi come se il corpo fosse stato messo in un certo stato. Il cervello, in parole povere, percepisce un corpo "emozionato" anche se il corpo non è davvero cambiato. In entrambi i casi, l'idea è che le alternative vengono preselezionate anche in base al loro contenuto emotivo, dove un'emozione "è un insieme di cambiamenti dello stato corporeo connessi a particolari immagini mentali che hanno attivato uno specifico sistema cerebrale", e provare un'emozione è l'esperienza di quei cambiamenti in giustapposizione alle immagini mentali che hanno dato avvio al ciclo. Non so quanto l'anticartesiano Damasio sia consapevole della forte somiglianza tra il suo modo di guardare a emozioni e sentimenti e la teoria delle passioni di un grande cartesiano eterodosso, Spinoza: il sentimento, per Damasio, è l'esperienza di ciò che il corpo fa "mentre corrono i pensieri riguardanti specifici contenuti"; Spinoza, unificando emozioni e sentimenti nella nozione di affetto, diceva che un affetto è un'"affezione del corpo... e insieme l'idea di questa affezione". Una serie di test estremamente ingegnosi mostrano che i pazienti prefrontali sono meno capaci di emozioni dei soggetti normali; nel senso, per esempio, che non esibiscono risposte somatiche a immagini emotivamente coinvolgenti, pur sapendo che si tratta di immagini emotivamente cariche, ed essendo perfettamente in grado di spiegare di quali specifiche emozioni si tratta: essi sono in grado di dire che un'immagine dovrebbe suscitare orrore, ma nulla nel loro corpo esprime un tale orrore. In loro si è interrotto il circuito immaginazione - risposta somatica - cambiamento mentale che nei soggetti normali è alla base dei processi deliberativi. D'altra parte, vi sono secondo Damasio buone ragioni neurobiologiche per ritenere che le aree prefrontali siano proprio quelle deputate alla gestione della maggior parte dei processi implicati nel circuito in questione. L'immagine di un cervello che invia segnali al corpo e a sua volta ne "ascolta" continuamente e attentamente le risposte ("il cervello è l'avvinto uditore del corpo") si generalizza, nel libro di Damasio, in un'immagine del rapporto tra mente e corpo e in una teoria del sé, in cui è centrale la costante rappresentazione cerebrale dello stato del corpo. Il sé è fatto in parte di memoria autobiografica (sapere come ci chiamiamo, dove abitiamo, che cosa ci piace, che vita abbiamo vissuto, ecc.) e in parte non minore della rappresentazione continuamente ripetuta dello stato del nostro corpo: di qui l'angosciosa perdita di sé dei pazienti affetti da anosognosia, che sono condannati a una conoscenza "oggettiva", esteriore del proprio corpo passato, perché la loro mente non percepisce più il suo stato presente. E di qui anche la polemica anticartesiana di Damasio (che dà il titolo al libro, ed è largamente ingiusta): contro il dualismo cartesiano - la netta separazione di mente e corpo - e subordinatamente contro la priorità della mente sul corpo, che sarebbe espressa dal celebre "Cogito ergo sum". Per Damasio, al contrario, la mente deriva dal corpo e anzi dall'intero corpo, non solo dal cervello.
Recensione di Marconi, D., L'Indice 1996, n. 2
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